La questione dell'Italian sounding - La diatriba sullo sfruttamento dell'italianità all'

La diatriba in atto ormai da diversi anni sullo sfruttamento dell'italianità soprattutto sui prodotti alimentari assume ormai, a mio avviso, contorni quasi grotteschi.

Leggendo nei giorni scorsi un articolo "accalorato" sullo sfruttamento dell'"italian sounding", ossia del "sembra italiano", da parte di aziende produttrici estere senza scrupoli, pur essendo totalmente d'accordo con il fatto che si tratti di una scorrettezza da tutti i punti di vista, non ho potutto fare a meno di notare due aspetti: da un lato una incongruenza e dall'altro uno spreco.

L'incongruenza che noto consiste nel fatto che in ogni dove si sente magnificare l'importanza dell'integrazione, dell'apertura agli altri, della globalizzazione e dell'unione dei popoli e delle culture, e poi sugli stessi media si demonizza il produttore alieno appellandolo come nemico. Prendendo spunto da una intervista rilasciata dall'imprenditore Pietro Bassetti, il quale esprime la propria idea sottolineando che "il finto parmigiano - reggiano e tutti i prodotti italian - sounding, sono degli ambasciatori inconsapevoli del nostro modo di produrre e di vivere", l'articolo al quale mi riferisco ne contesta l'assunto, sostenendo al contrario la tesi di un danno derivante da questa pratica. In aggiunta sottolinea la necessità di "allearsi italianamente" contro il nemico.

Lo spreco che rilevo consiste proprio nell'impiego di risorse ed energie in questa

lotta, più ideologica che materiale, ricercando alleanze che, questo si molto italianamente, storicamente sono molto difficili e spesso improbabilli.

Perchè invece non ci si concentra sulla qualità e sul valore effettivamente prodotto e ci si impegna ad agirlo e comunicarlo all'interno e all'esterno all'azienda in modo da creare valore anzichè distruggerlo con le guerre di parte? Lascerei le azioni politico - legali alle istituzioni e mi concentrerei su un fare azienda con effettivo ed efficace impegno etico.